L’acqua, la pietra e il fuoco – racconti spettacolari di lavandaie – Marche Storie

MarcheStorie

Raccontare le Marche attraverso i suoi borghi, i suoi sapori, la sua vicenda millenaria ma soprattutto le sue storie. Farlo attraverso una “festa”, che duri intere settimane e che coinvolga tutto il territorio marchigiano, dal mare alle montagne; conoscere antichi abitati arroccati, fortezze medievali, città meravigliose e chiese dal fascino misterioso; assaggiare cibi nuovi e rincorrere emozioni inedite, seguendo le trame di una conoscenza che si fa spettacolo e divertimento. Tutto ciò esiste, e si chiama MArCHESTORIE Racconti & tradizioni dai borghi in festa.

Breve racconto delle lavandaie di Castel Trosino

Per le donne di campagna di un tempo l’unico lavoro che avrebbero potuto fare per integrare i miseri redditi di famiglia era quello di lavandaia. Questo accadeva soprattutto a Castel Trosino. Qui infatti le acque limpide e fredde di alcune sorgenti solfuree (l’acqua salmacina) erano particolarmente indicate per lavare la biancheria. Percio’ la gente di Ascoli dava a lavare i panni alle donne di Castel Trosino, dove col tempo si era sviluppata un’attivita’  artigianale di lavanderia collettiva. A ridosso del paese c’era un enorme spazio
(oggi denominato Casette) trasformato in lavanderia all’aperto. Vi fumicano sempre grandi fuochi accesi sotto i caldai dove immersi in una soluzione di acqua solfurea e cenere bianca, bollivano i panni che venivano poi risciaquati su enormi pietre immerse in vasche di travertino . La ” liscie’ ” cioe’ l’imbiancantura dei panni con cenere e acqua bollente comprendeva varie operazioni; i panni venivano prima lavati in vasche di travertino (vureghe) , quindi si disponevano ordinatamente nella tinozza; fatte bollire acqua e cenere
(cennerata), si versavano nella tinozza filtrandole con un rozzo panno  (cennerale); recuperata l’acqua dalla tinozza attraverso un buco posto alla base, si faceva bollire di nuovo e poi si riversava sulla biancheria senza il panno-filtro infine venivano risciaquati in acqua corrente su pietre levigate poste in posizione inclinata (vresciu’). Il trasporto della biancheria avveniva a dorso d’asino e tutti i sabato “li lavannare de Castielli” si recavano in citta’, legavano i loro somari in un quartiere di Ascoli Piceno, la Piazzarola, poi con quei fagotti bianchi in testa inondavano le vie di Ascoli per riconsegnare il pulito, farsi pagare e ritirare i panni sporchi.
La lavandaia, con i suoi panni stesi, ricorda il candore della Madonna che, secondo la tradizione, per prima venne visitata proprio da un gruppo di lavandaie attirate dall’evento.

La narrazione dell’evento spettacolare prende avvio dalla storia che lega l’antico mestiere delle lavandaie e Castel Trosino.
Castel Trosino è un borgo medievale che sorge sopra una roccia di travertino alla cui base scorre il fiume Castellano. Proprio dallo sbarramento di questo torrente si origina il lago di Castel Trosino. A valle della diga è possibile scorgere la confluenza del fiume all’interno dell’acquedotto romano che portava acqua alla cittàdi Ascoli, mentre a monte del lago si trovano le sorgenti d’acqua sulfurea, detta anche salmacina, già conosciute dai Romani. Le sorgenti oltre ad essere utilizzate per uso termale, venivano utilizzate dalle donne per lavare i panni e pare che l’utilizzo di quest’acqua rendesse la biancheria splendente. Per tutto il circondario di Castel Trosino rimangono ancora alcuni lavatoi in disuso memoria della tradizione del mestiere delle lavandaie.